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Gino Bartali salvò la vita a centinaia di ebrei. Nascondeva i documenti nel telaio della sua bicicletta

La storia di un campione, grande soprattutto di cuore

Era conosciuto con il soprannome di ” Ginettaccio” per via del suo carattere brusco e spigoloso. Ma, sotto quella scorza non proprio facile, Gino Bartali era uomo altruista e coraggioso.

Un campione sportivo che non esitò a rischiare la vita per una nobile causa, quella della salvezza di numerosi Ebrei sul finire della seconda guerra mondiale.

Oltre 800 persone devono la vita a Gino Bartali e alla sua bicicletta. Il campione toscano infatti trasportò decine e decine di documenti nascondendoli nella canna della bici da corsa!

Gino Bartali salvò la vita a centinaia di ebrei

Siamo negli anni finali della seconda guerra mondiale, precisamente tra il 1943 e 1944.

Le truppe naziste sul territorio italiano davano la caccia alle persone, cittadini italiani di religione ebraica.

Una catena di soccorso, clandestina, si mise in movimento per tentare di salvare delle vite umane innocenti.

A tirare le fila il Vescovo di Firenze e il Cardinale Dalla Costa che, da Assisi, doveva far arrivare nel capoluogo toscano documenti falsi in grado di far espatriare gli Ebrei.

E così Gino Bartali, fresco di vittoria al Tour de France nel 1938, mise a disposizione la propria bici e la propria forza per diventare il fattorino in grado di trasportare i documenti.

Non erano certo gli oltre 170 chilometri a spaventare Gino, quanto i controlli che i tedeschi effettuavano lungo il tragitto.

Fermato, il campione, chiedeva che la sua bici non fosse manomessa per via degli allenamenti che continuava a compiere, in vista della ripresa degli impegni agonistici.

Fu questa sua dedizione a salvare numerose famiglie di religione ebraica da morte sicura.

Per questo lo Stato di Israele ha onorato Gino Bartali nel 2013 inserendo il suo nome nel Giardino dei Giusti, il giardino sorto accanto allo Yad Vashem, il Memoriale che ricorda la Shoah.

“Se il ciclismo non è lezione di vita e di solidarietà, non serve a nulla“ era solito ricordare Bartali, mentre ricordava quegli anni.

E la stessa cosa deve aver pensato anche il piccolo Shlomo Golderberg quando, all’età di 8 anni, ricevette dal campione toscano il lasciapassare per la sua salvezza.

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